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NICOLA PIETRANGELI
A detta di molti, Nicola Pietrangeli è la stella più luminosa che il tennis italiano abbia mai avuto. Certo è che il suo nome figura nella Hall of Fame di Newport in America, che raccoglie tutti i più grandi campioni di questo sport. E a conferma della fama e del pestigio conquistati, anche il "premio Chatrier" attribuitogli dalla Federazione Internazionale due anni fà.
Nato a Tunisi nel 1933 da padre italiano e madre russa, Pietrangeli nacque in una famiglia piuttosto benestante. Il giovane Pietrangeli da ragazzo al tennis preferiva di gran lunga il calcio; inoltre era piuttosto pigro e, se fosse dipeso unicamente da lui, probabilmente il tennis italiano non avrebbe potuto fregiarsi della sua bravura. Ad avvicinarlo al tennis, infatti, non fu la passione per il gioco, bensì il padre che, pare, lo trascinasse sui campi in terra. E anche se la sua indole rimase profondamente pigra, l'insistenza e la costanza del genitore riuscirono a far emergere quel grandissimo talento da campione che il padre, con grande perspicacia, riuscì ad intuire.
Pietrangeli, infatti, riuscì a diventare un campione. Un campione capace di vincere due edizioni degli Internazionali di Francia, nel 1959 e 1960, e di arrivare in finale nel '61 e '64, imponendosi in quel biennio come il più forte giocatore del mondo sulla terra battuta. Nel suo palmares, anche una semifinale sull'erba di Wimbledon, sempre nel 1960, e i successi agli Internazionali d'Italia nel '57 e nel '61 e a Montecarlo nel '67 e '68. Ma Pietrangeli è conosciuto anche come Mister Davis. Il tennista romano d'adozione, infatti, può vantare il record - difficilmente battibile visto l'andamento del tennis italiano degli ultimi anni - di presenze in questa competizione: ha giocato 164 incontri di Coppa Davis fra singolare e doppio, con 120 vittorie. In Davis è stato anche il capitano nella vittoriosa spedizione italiana a Santiago del Cile, nel '76. Nel suo palamres anche 7 titoli di campione d'Italia.
Fra le sue armi vincenti, un indiscutibile suo senso della palla, incredibili doti di giocoliere e una straordinaria capacità atletica che gli permetteva di sfruttare al massimo tutte le sue energie e di sopperire alla cronica mancanza di dedizione per l'allenamento e la fatica. Un esempio? Si racconta che una volta, prima di giocare una finale contro l'australiano Bowrey, giocò per un'ora a pallone e poi si fece trainare da un motoscafo fino a un ristorante dove si saziò a dovere. Cosa successe poche ore dopo? Distrusse il malcapitato giocatore australiano.
Queste le caratteristihe del suo gioco caratteristiche che gli permettevano, anche in condizioni atletiche appena sufficienti, di esprimere il suo miglior tennis.
Grande incontrista, Pietrangeli possedeva dei passanti straordinari, la cui direzione era spesso difficilissima da interpretare per i suoi avversari. Mentre competere con lui in regolarità, specie sulla terra rossa, era il più delle volte improponibile.
fra i suoi maggiori rivali in campo, un altro fuoriclasse del tempo, lo spagnolo Manolo Santana, che in più di un'occasione rallentò la scalata di Pietrangeli, impedendogli di cogliere altre prestigiose affermazioni. Memorabile la finale a Parigi nel '61 quando lo spagnolo riuscì a rimontare Mister Davis che conduceva due set a uno e vinse quell'edizione del Roland Garros.
Non ha mai abbandonato veramente il tennis, Nicola Pietrangeli che da qualche anno ricopre, per conto della Federazione Italiana, il ruolo di Ambasciatore del tennis italiano nel mondo.
NICOLA PIETRANGELI


ARTHUR ASHE
Classe 1943, Arthur Ashe è stato e resta un recordman. È stato, infatti, il primo giocatore di colore ad entrare nell'olimpo del tennis, sport sino ad allora esclusivamente riservato ai bianchi. È stato il primo campione d'America di colore ed anche il primo nero a difendere i colori statunitensi in Coppa Davis... Il primo fuoriclasse nero del mondo della racchetta, però, ha lasciato una traccia indelebile nel mondo anche al di là dei meriti sportivi.
Nato a Richmond, nello stato della Virginia, Arthur Ashe si e' sempre battuto contro la discriminazione razziale, contro l'Apartheid in Sudafrica e più in generale per i diritti della gente di colore. Approverebbe sicuramente la decisione della sua famiglia che, dopo la sua scomparsa, ha dato vita alla "Arthur Ashe Fundation", una fondazione a scopo benefico con l'obiettivo di aiutare i bambini di colore più poveri e avviarli alla pratica del tennis. Lo stesso Ashe, scomparso nel febbraio del '93, stroncato dall'Aids - malatttia che gli era stata trasmessa con una trasfusione di sangue infetto - scoprì a Yaoundé, capitale del Camerun, un ragazzino che se la cavava discretamente con la racchetta dandogli la possibiltà di allenarsi con serietà. Quel bambino sarebbe diventato il campione Yannick Noah.
Arthur Ashe si impose nel periodo a cavallo degli anni Sessanta e Settanta vincendo tre prove dello Slam. Gli Us Open a Forest Hills nel 1968, gli Open d'Australia due anni più tardi e Wimbledon nel '75: memorabile la finale vinta 6/1-6/1-5/7-6/4 contro Jimmy Connors da Ashe, che ancora oggi è l'unico giocatore di colore ad essere riuscito ad alzare al cielo questo trofeo. Complessivamente, da giocatore ha vinto 21 tornei e collezionato, primo nero nella storia, una quarantina di presenze con la rappresentativa statunitense di Coppa Davis, competizione in cui ha anche rivestito il ruolo di capitano dal 1981 al 1985. Per dodici anni è stato nei Top Ten della classifica mondiale, non arrivando mai, però, al numero 1.
Sul campo si distinse sempre per la sua disciplina, per l'estrema naturalezza e per la precisione millimetrica del suo gioco che, seppure carente in fatto di potenza, risultava assai imprevedibile e fantasioso per la grandissima varietà di colpi che sapeva eseguire con ogni tipo di taglio. Il suo colpo migliore, comunque, era il rovescio, come per ogni tennista di impostazione classica.
Risale a qualche anno fa la decisione della federazione tennistica statunitense di intitolare alla sua memoria il campo centrale di Flushing Meadows dove ogni anno si svolgono gli Us Open.
ARTHUR ASHE

JOHN NEWCOMBE
L'australiano John Newcombe, nato a Sydney nel 1944, è stato senza alcun dubbio uno dei tennisti più forti di tutti i tempi. Basta dare uno sguardo al suo palmares: sette i successi in singolare nelle prove dello Slam, tre volte a Wimbledon, nel 1967, nel '70 e nel '71; due agli Us Open nel '67 e nel '73 e due Australian Open nel '73 e nel '75. Il baffuto più famoso del tennis è stato anche al numero uno della classifica mondiale, nel 1967, nel '71 e nel '73. In doppio, poi, in coppia con un altro fuoriclasse australiano, Tony Roche, ha vinto per cinque volte sull'erba di Wimbledon, una volta gli Us Open a Forest Hills, per due volte al Roland Garros e 4 Open d'Australia a Kooyong Park. Fra l'altro, Newcombe, come il connazionale Rod Laver, è stato l'unico a vincere Wimbledon e Forrest Hills sia nell'era del dilettantismo sia in quella open del tennis.
Campione del serve and volley, Newcombe era dotato di un gioco molto potente ed era capace di essere competitivo su quasi tutte le superfici. Benché, infatti, la terra rossa, più lenta, gli fosse meno congeniale, riuscì anche a vincere l'edizione degli Internazionali d'Italia nel 1969, sconfiggendo in finale l'amico e compagno Tony Roche col punteggio di 6/3-4/6-6/2-5/7-6/3.
Poteva anche contare su una grande resistenza atletica; era, infatti, un autentico lottatore e spesso dava il meglio di sé negli incontri che si prolungavano al quinto set, come nella finale a Wimbledon del 1971, quando Newcombe sconfisse 6-4 al quinto uno sfinito Stan Smith.
Ma l'australiano, che esercitava un certo fascino sul gentil sesso, fu anche il primo campione del mondo del tennis a diventare un idolo del pubblico femminile.
Per molto tempo, infine, Newcombe è anche stato il capitano della rappresentativa australiana in Coppa Davis, guidando Rafter, Hewitt & co. al successo nel '99.
JOHN NEWCOMBE

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